venerdì 11 ottobre 2013

L'eredità di Priebke

di Mattia Sangiuliano

Erich Priebke è morto. Forse questa sarà solo un'altra voce nel fiume delle notizie e delle facili ricondivisioni da social network, sarà inascoltata, disprezzata, usata, criticata e messa da parte.
Esattamente come quel vecchio carceriere nazista che qualche tempo fa compì cento anni, un secolo, balzando ai disonori della cronaca, rievocato in settima pagina da qualche giornale, in qualche specchietto, con vecchie foto "d'epoca" che lo raffiguravano dieci anni prima quando si era fatto vedere per il suo novantesimo anniversario di nascita; un uomo subito accantonato per lasciare i riflettori della cronaca con il silenzio della sua voce, silenzio colmato da qualche strascicata parola dell'avvocato della difesa.
Cala il sipario su Erich Priebke ancora una volta tributato di insulti e di rabbiose ovazioni. Tremo rievocando il pensiero di quei morti delle Fosse Ardeatine di Roma. Rabbrividisco, nel vero senso della parola, immaginando quella famosa strage che trova qualche menzione nei testi scolastici, in qualche sobrio riquadro, tra cifre e dettagli raccapriccianti. È orribile riuscire a dipingere con tanta chiarezza il lucido e folle odio con il quale si sia potuta organizzare una disumana macchina della morte come quella del genocidio ebraico e che proprio persone come 'Herr' Priebke, in epoca moderna, hanno assolto la funzione di testimonial, dall'alto della loro popolarità, di quelle teorie contro-sterminazionistiche.
Fa rabbrividire l'ignoranza e la semplicità con cui vengono accolte teorie raccapriccianti e ignominiose, che nulla hanno di storico e che vogliono spacciare per scienza un'ardita critica che ha del fiabesco, pretendendo di scoraggiare l'esistenza di montagne di morti, negando l'esistenza dello strumento che ha permesso l'omicidio.
Torna alla mente il gesto estremo di un altro noto esponente del mondo omofobo e idolo delle folle negazioniste, quello di Dominique Venner, che si tolse la vita il 21 maggio "nella cattedrale di Notre-Dame di Parigi puntandosi contro una pistola".
Analogie e differenza. Una ceca violenza, fisica e verbale, che si nutre di se stessa e che in un circolo vizioso avvizzisce a fa imputridire tutto ciò che la tocca, persino ciò che vorrebbe estirparla. L'attacco virulento diventa la prassi e la gioia della morte diventa un onore. La ragione stessa sfiorisce e appassisce, contagiata dalla facilità dell'attacco e del semplicistico insulto. "Il sonno della ragione genera mostri".

Rabbrividisco di fronte all'eredità che Priebke ci ha lasciato. Siamo arrivati al punto in cui la collettività non possa che giovarsi della morte di un individuo, della morte di uno degli ultimi nazisti viventi, credendo così di essere in grado di potersi rigenerare nel sangue di quella Danse Macabre che si muove tra i morti che il tempo ha inghiottito. Uno spettacolo che continua imperterrito, a oltranza, slegato da ogni logica se non da quella della follia.
Questa è l'eredità che Priebke ha donato al mondo con un suo silenzioso e inaspettato testamento: persone che si beano della morte di un individuo, facendo continuare il macabro spettacolo di una festa danzante.
"Non c'è nulla da festeggiare" però.

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